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Come aprire la Partita IVA: cosa sapere, costi e quale scegliere

Esercitare qualsiasi attività non dipendente necessita dell’apertura della Partita Iva. Tre grandi categorie di lavoratori sono obbligate ad averne una: liberi professionisti, artigiani e commercianti.

Si tratta di una scelta compiuta quando si decide di mettersi in proprio, come freelance, aprendo un negozio o una qualsiasi attività.

Aprire una Partita Iva è necessario, ad esempio, quando si decide di avviare una pizzeria, aprire un bar, un avviare un allevamento ancora meglio se redditizio. Giusto per riportare alcuni esempi.

In questo approfondimento vedremo come muoversi al meglio. Quale regime scegliere, i costi da sostenere, come calcolare le tasse da versare, a seconda che si opti per il regime ordinario o il regime forfettario.

Aprire la Partita Iva: cosa sapere

La Partita Iva è composta da 11 numeri. Questi non sono generati casualmente ma permettono di identificare:

  • l’ufficio emittente
  • l’attività
  • la posizione contributiva.

Eccezione fatta per coloro che lavorano in maniera saltuaria od occasionale, prim’ancora d’intraprende un’attività e di generare reddito, bisogna recarsi all’Agenzia delle Entrate, segnalare l’inizio dell’attività e appunto aprire la Partita Iva.

Ne esistono di due tipologie. La Partita Iva a regime forfettario (ex dei minimi), pensata per i giovani e in generale per tutti coloro che non prevedono di superare i 65.000 EUR annui di fatturato. E la Partita Iva ordinaria, riservata a coloro che superano l’importo dei 65.000 EUR annui di fatturato.

La prima è anche conosciuta come “semplificata”, poiché, come vedremo, è molto più facile da gestire e permette un notevole risparmio. Meno tasse da pagare e iter burocratici poco complessi.

Come aprire la Partita Iva

Aprire la Partita Iva è un’operazione che può essere compiuta anche in autonomia recandosi presso l’Agenzia delle Entrate più vicina al proprio luogo di residenza, o seguendo la procedura online collegandosi allo sportello telematico dell’Agenzia delle Entrate.

In alternativa è possibile rivolgersi al proprio commercialista (https://www.cercalavoro.it/offerte-lavoro/commercialista/), il quale si occuperà di tutte le procedure.

In particolare, è richiesto di segnalare il Codice Ateco – identificativo della propria attività e compilare gli appositi modelli anche conosciuti come. “Dichiarazione di inizio attività”.

L’AA9/12 o l’AA7/10. Il primo lo devono compilare le imprese individuali e i lavoratori autonomi. Il secondo tutti gli altri.

Una volta compilati e consegnati i moduli, generalmente, la P.IVA risulta aperta in 24 ore per quanto riguarda i freelance o liberi professionisti, mentre possono volerci oltre due settimane per le ditte individuali.

Queste ultime, inoltre, devono anche adoperarsi nel frattempo registrando l’attività al registro delle imprese, inviando la cosiddetta Comunicazione Unica.

Non è sufficiente aprire la P.Iva. Per iniziare l’attività bisogna altresì aprire le posizioni INPS – per il versamento dei contributi, e la posizione INAIL – qualora sia richiesta dalla tipologia d’attività intrapresa.

Aprire Partita iva forfettaria o ordinaria?

Tendenzialmente è il fatturato atteso il parametro che guida la scelta verso l’apertura di un P.IVA ordinaria o forfettaria.

Un giovane lavoratore autonomo, agli inizi, potrebbe scegliere il regime ordinario, mentre, qualora si sia sostenuto un ingente investimento per l’apertura di una medio-grande attività, allora bisogna optare per il regime ordinario.

Elaborare un business plan, e consultarsi con un commercialista, sono due operazioni che permettono di capire qual è il regime giusto da aprire.

Regime ordinario

Optare per il regime ordinario comporta il pagamento dell’IVA per ogni servizio o prodotto venduto. Ciò implica il versamento di un’aliquota pari al 22% per la maggior parte dei beni e servizi, ad eccezione di alcune categorie.

Ad esempio, la carne e il pesce sono soggetti ad IVA del 10%. Il pane del 4%.

Inoltre, il regime ordinario obbliga il contribuente ad emettere la fattura in formato elettronico. Le fatture quindi devono essere caricate nel sistema telematico gestito dall’Agenzia delle Entrate.

Il regime ordinario comporta altri adempimenti, che necessitano un’attenzione particolare:

  • Dichiarare a cadenza annuale l’IVA versata
  • Versare l’IVA ogni trimestre
  • Utilizzare lo strumento dell’esterometro per le fatture estere
  • Mantenere i registri contabili.

Sebbene la partita IVA ordinaria sia più complessa da gestire non manca un vantaggio di cui tener conto: la possibilità di scaricare le spese. Il contribuente in regime ordinario, al contrario di colui in regime forfettario, può dedurre costi per:

  • corsi di formazione
  • libri
  • software
  • hardware.

In generale possono essere portate in deduzione tutte le spese sostenute per la propria attività.

Regime forfettario

Aprire una Partita Iva semplificata è molto più semplice da gestire. Non è previsto il versamento dell’IVA, né tanto meno vi è (ancora) l’obbligo di fatturazione elettronica.

Il regime prevede il pagamento di un’aliquota unica sul reddito generato ogni anno. L’aliquota è per i primi 5 anni del 5%. Successivamente sale al 15%.

L’aliquota è calcolata moltiplicando il reddito per il coefficiente di redditività. Quest’ultimo, come vedremo più avanti, varia a seconda dell’attività esercitata.

Al fine di aprire una P.IVA forfettaria, il fatturato non può superare i 65.000 EUR. Tra i contro non è possibile dedurre alcuna spesa.

Aprire Partita Iva costi

Aprire la Partita Iva non ha alcun costo. Tuttavia, bisogna considerare le spese per mantenerla (fisse e variabili), le quali comprendono il compenso da corrispondere al commercialista.

Per quanto riguarda una P.Iva in regime forfettario, la spesa iniziale richiesta da un commercialista si aggira intorno ai 200 EUR. Più un importo variabile per il mantenimento.

Mentre risultano più elevati per le P.Iva ordinarie. In questo caso le operazioni burocratiche, come anticipato, sono più complesse.

I costi da sostenere poi dipendono dal reddito generato e dall’attività svolta. Ciò che bisogna sapere è che vi sono spese da sostenere anche se non si fattura.

In particolare, gli artigiani e i commercianti devono versare dei contribuiti pari a circa 3.800 EUR annuali, oltre che la tassa d’iscrizione alla Camera di Commercio.

Mentre coloro che non hanno una cassa di riferimento, devono iscriversi alla gestione separata.

L’importo da versare all’INPS, in questo caso, dipende al reddito, e pertanto in caso di reddito zero le spese da sostenere sono nulle.

Calcolare il reddito netto P.IVA forfettaria

Per avere un’idea sul funzionamento e le spese da sostenere una volta aperta la Partita Iva forfettaria, vediamo un esempio.

La prima cosa da sapere è il coefficiente di reddittività da applicare. Tale aspetto può essere consultato l’allegato pubblicato dall’Agenzia delle Entrate.

Qualora si opti per un regime forfettario e si operi in settori quali: alimentari, commercio e ristorazione il coefficiente è del 40%.

Qualora si svolga attività quali: social media manager, copywriter, fotografo, il coefficiente è del 67%.

Supponiamo quindi che un freelance fatturi 40.000 EUR annui. L’importo va moltiplicato per il 67%.

Il totale è di 26,800 EUR è il reddito imponibile. Da questo bisogna detrarre i contributi versati. Ad esempio, il 25,75% che è l’aliquota da versare all’INPS.

Il reddito imponibile, meno l’aliquota, genera un reddito netto di 20.100 EUR. Da quest’ultimo importo si determinano le tasse da versare, moltiplicandolo per il coefficiente di redditività.

Quindi, nell’esempio riportato, 20.100 per 5% (nei primi cinque anni). Il totale, 1.005 EUR sono le tasse che potrebbe trovarsi a versare un freelance che fattura intorno ai 40.000 EUR annui.

Calcolare il reddito netto P.IVA ordinaria

Ben diverso è il calcolo per le P.Iva ordinarie. In questo caso l’imposta che più pesa sul contribuente è l’IRPEF. Varia a seconda del reddito dichiarato. Dal 23% da 0 a 15.000 EUR fino al 43% per i redditi superiori a 75.000 EUR.

Vi è poi da considerare l’IRAP, un’imposta regionale variabile e intorno al 4%, e l’IVA del 22%.

Il vantaggio è che possono essere dedotte molte spese, abbassando così il reddito imponibile: spese mediche, per figli a carico, del mutuo e in caso di acquisto di beni e servizi per l’attività.

Per riportare un esempio. Un Ingegnere con un fatturato annuo di 100.000 EUR e 10.000 Eur di spese annuali detraibili, verserà circa 25.000 EUR di IRPEF e 13.000 EUR per la previdenza sociale. Il reddito netto sarà quindi intorno i 62.000 EUR annui.

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