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Discriminazione sul lavoro. Diretta, indiretta e quali tutele ci sono per i lavoratori

Oggi affrontiamo un tema molto delicato: la discriminazione sul lavoro e quando questa si verifica in tutte le varie forme.

Scopriremo che esistono molte tipologie di discriminazione, alcune anche nascoste ma non per questo meno gravi.

Vedremo inoltre che tali spiacevoli eventi colpiscono soprattutto le fasce più deboli dei lavoratori e riguardano aspetti quali: il genere, la religione, l’età, l’identità sessuale, la disabilità.

Partiremo dal significato e dalla definizione di discriminazione, dato che per molti può essere ancora difficile riuscire ad individuare se si è vittima o meno di tali episodi.

Successivamente vedremo tutto ciò che potrebbe accadere nei posti di lavoro: come difendersi e le azioni legali da intraprendere.

L’approfondimento mira ad offrire una panoramica riguardo ciò che un lavoratore e una lavoratrice devono sapere. Un’attenzione particolare è dedicata alla discriminazione di genere e quindi al tema donne e lavoro.

Discriminazione: significato e definizione

Cosa si intende per discriminazione? Discriminare deriva dal latino discriminatio -oni. Con il termine si intendono condotte che ledono fisicamente o moralmente una o più persone in ragione del proprio genere, colore della pelle, status sociale, età, condizione fisica, posizione politica, fede religiosa.

Tali azioni, portano di fatto ad una disparità di trattamento e di possibilità in ambito sociale e lavorativo.

Forme di discriminazione

Convenzionalmente si distinguono diverse forme di discriminazione. Se un’aggressione verbale a una persona per via del colore della pelle o dell’orientamento sessuale è facilmente definibile un atto discriminatorio, ben diverse possono essere le forme di discriminazione indiretta, a volte subdole e difficilmente riconoscibili. Si pensi ad alcune forme di mobbing che spesso si configurano come vere a proprie azioni persecutorie.

Il decreto legislativo n. 198 del 2006 (art. 25 e art. 26) inserito nel Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, individua le seguenti forme di discriminazione:

Discriminazione diretta

Una discriminazione sul posto di lavoro, come in ogni ambito, è diretta quando vi è un’azione, un comportamento, un modo di porsi, che porta il lavoratore o la lavoratrice a ricevere un trattamento diverso solo per il genere, la religione, la condizione fisica o uno dei suddetti casi.

Discriminazione indiretta

Al contrario la discriminazione indiretta è definita come l’insieme di azioni, gesti, comportamenti subiti da una persona (lavoratore o meno), apparentemente innocui ma che nei fatti creano uno svantaggio nel discriminato.

Ad esempio, un annuncio di lavoro rivolto ad ambo i sessi ma che nei fatti non concede alla donna la flessibilità necessaria per prendersi cura di un bambino appena nato, può essere una discriminazione indiretta che lede i diritti delle donne.

O ancora, non mettere nelle condizioni ottimali un lavoratore appartenente alle categorie protette di svolgere le mansioni può altresì essere considerata una forma di discriminazione indiretta.

Discriminazione singola o collettiva

La discriminazione diretta o indiretta può inoltre riguardare sia un singolo, sia una collettività di persone e lavoratori.

Ad esempio, se un’organizzazione dovesse licenziare solo lavoratori appartenenti ad una categoria tra quelle indicate (genere, fede religiosa, orientamento politico, stato civile, condizione fisica), allora la discriminazione diviene collettiva.

Molestie

Quando la discriminazione nello specifico riguarda il genere o l’orientamento sessuale, diventa una molestia, punita dall’articolo 660 del Codice penale.

La molestia può aggravarsi quando diventa violenza o nello specifico rientra nelle molestie sessuali, quest’ultime possono essere anche tali se messe in atto in forma verbale.

Discriminazione multipla

La discriminazione multipla (ordinaria), come suggerisce il termine, si concretizza quando si è vittima di più discriminazioni e in luoghi e ambienti diversi.

Ad esempio, si può essere discriminati per una disabilità sul posto di lavoro e allo stesso tempo essere e sentirsi discriminati quando, per via della disabilità, non è possibile accedere ad una struttura (palestra, bar e cinema).

Tale tipo di discriminazione porta quindi ad una serie di svantaggi multipli. Quello su riportato è un esempio, ma ciò può valere anche in caso di discriminazioni per il proprio orientamento sessuale e per il colore della pelle, e in tanti altri casi.

Discriminazione additiva

La discriminazione additiva (compound discrimination) lo è quando nel medesimo ambiente una persona, lavoratore o lavoratrice, subisce più discriminazioni contemporaneamente.

Ad esempio, politiche interne aziendali che non permettono né possibilità di carriera ai giovani né ad una donna, penalizzano in maniera additiva le giovani donne.

Discriminazione amplificatrice

La discriminazione amplificatrice si verifica quando una caratteristica alimenta l’altra, facendo entrare una persona in un vortice di discriminazione.

Ad esempio, una donna di colore qualora decidesse di inviare la propria candidatura per una posizione lavorativa dirigenziale, potrebbe subire una discriminazione amplificatrice.

Da un lato viene discriminata in quanto donna, dall’altro in quanto di colore, nell’assurda convinzione che non solo una donna non può ambire a posizione di vertice, ma ancor di più se di colore.

Discriminazione intersezionale

Si definisce intersezionale quando si è discriminati per più fattori i quali risultano tra loro collegati.

Negli Stati Uniti, il tema è centrale e riguarda principalmente le donne di colore. Queste ultime, infatti, risultano discriminate in quanto donne e in quanto di carnagione scura e in molti casi sono soggette a limitazioni in campo lavorativo e subiscono altresì episodi di violenza all’interno della sfera privata.

Discriminazione sul lavoro: le normative vigenti

Le norme e le leggi volte ad evitare ogni episodio discriminatorio sul posto di lavoro non mancano. I lavoratori sono tutelati dalla Costituzione, dal già citato Codice delle pari opportunità e da decreti legislativi che hanno recepito direttive comunitarie. In dettaglio:

Costituzione: articolo 3

L’articolo 3 della Costituzione sancisce un principio fondamentale: l’uguaglianza di tutti i cittadini in ambito lavorativo e no, indipendentemente da sesso, razza, lingua, orientamento politico, religione e status sociale.

Costituzione: articolo 37

L’articolo 37 riguarda le donne e ribadisce la parità di diritti e di retribuzione. Inoltre, specifica che alle donne devono essere garantite condizioni di lavoro che possano consentire l’adempimento delle essenziali funzioni familiari.

Decreto legislativo del 9 luglio 2003 n.215

Il Decreto n.215 è attuazione di una direttiva comunitaria e ribadisce il principio di parità di trattamento tra tutti i lavoratori indipendentemente dall’etnia o dalla razza.

Il decreto richiama le nozioni di discriminazione diretta e indiretta, esplicita gli ambiti di applicazione (lavoro, istruzione, sanità, servizi) e legittima le associazioni presenti sul territorio che svolgono un lavoro di prevenzione.

Decreto legislativo del 9 luglio 2003 n.216

Il Decreto n.216, riguarda nello specifico le condizioni di lavoro e occupazionali.

L’art. 1, richiama le leggi che tutelano da più punti di vista i lavoratori tutti, dall’accesso, alla parità retributiva e formativa, fino alla libertà di associazione sindacale.

Codice delle Pari Opportunità art. 25

L’articolo 25 del suddetto Codice, riporta quando si configura una discriminazione diretta e quando una discriminazione indiretta, ribadendo altresì che anche trattamenti sfavorevoli in caso di maternità e paternità rientrano nelle pratiche discriminatorie.

Codice delle Pari Opportunità art. 26

L’articolo 26 specifica che le molestie sono a tutti gli effetti atti discriminatori ogni qual volta ledono la dignità delle lavorate.

Rientrano, come visto in precedenza, nelle molestie anche quelle di tipo sessuale, verbale e fisico. Sono nulli, inoltre, tutti i provvedimenti che arrecano un danno al lavoratore quando quest’ultimo si rifiuta di accettare azioni discriminatorie. Il lavoratore che agisce in tal senso non può essere né licenziato, né trasferito, né demansionato.

Codice delle Pari Opportunità art. 35

L’articolo 35 tutela i lavoratori individuali e collettivi dal licenziamento per via del matrimonio.

Pertanto, il matrimonio non può essere causa di licenziamento. Il lavoratore a quindi diritto al cosiddetto congedo matrimoniale, previsto anche in caso di rito civile della durata massima di 15 giorni retribuiti.

Casi di discriminazione nel lavoro

Nonostante la presenza di leggi nazionali e direttive comunitarie, gli episodi di discriminazione sul lavoro in Italia sono all’ordine del giorno.

Da un recente studio ADP che ha preso come campione circa 10.000 lavoratori, è emerso che in Europa poco più di un lavoratore su tre ha dichiarato di essersi sentito discriminato sul posto di lavoro.

Bisogna altresì notare che raramente il sentirsi discriminato porta ad effettive azioni. Nella maggior parte dei casi i lavoratori infatti, subiscono passivamente l’ingiustizia, nella speranza di cambiare lavoro al più presto.

In Italia la percentuale è più elevata e arriva al 42% e non stupisce che siano le donne le più colpite (47,4%).

Tra i motivi vi sono:

L’età

La discriminazione in base all’età colpisce in particolare i giovani lavoratori o i lavoratori senior da 50 anni in su.

In particolare, questa si concretizza in forma indiretta quando ad esempio l’offerta di lavoro presenta un limite di età massimo.

La discriminazione può altresì presentarsi sul posto di lavoro. Ad esempio, un lavoratore prossimo alla pensione potrebbe essere spinto a dimettersi.

Genere

Esseri discriminati per il genere colpisce principalmente le donne, le quali ad esempio: hanno più difficoltà ad ottenere la promozione, a parità di ore lavorate guadagnano meno degli uomini, vengono emarginate in caso di gravidanza.

La discriminazione di genere è un problema storico nel mercato del lavoro, sentito in Italia come in tanti altri paesi sviluppati.

Nazionalità

Essere discriminati per la nazionalità comporta: minori possibilità di essere assunti se nella foto curriculum è presente una persona di colore, o in generale non italiana.

La discriminazione razziale sul lavoro è presente in Italia come ad esempio negli Stati Uniti. Secondo EEOC (Equal Employment Opportunity Commission) ben un terzo delle denunce per discriminazione sono presentate per motivi razziali.

Religione

È vietata inoltre ogni forma di discriminazione sulla base delle convinzioni religiose. Questa può concretizzarsi in molti modi.

Il curriculum potrebbe essere scartato solo per l’orientamento sessuale, oppure una volta sul posto di lavoro il datore non è disponibile a concedere giorni sulla base dell’osservanza religiosa del lavoratore. Oppure, potrebbe essere vietato, a quest’ultimo, di indossare alcuni capi d’abbigliamento propri della sua fede.

Aspetto fisico

Una disabilità, o anche una lieve diversità fisica, possono essere altresì oggetto di discriminazione. In questo caso il lavoratore viene schernito dai colleghi, allontanato o non considerato durante le pause e non coinvolto durante le giornate. Insomma, al pari degli altri esempi di discriminazione riportati, ogni diversità seppur irrilevante può portare al lavoratore il dover subire spiacevoli episodi.

Orientamento sessuale

Come nei casi precedenti, risultano comuni episodi discriminatori sulla base dell’orientamento sessuale. Il lavoratore può quindi vedersi negata una promozione, come anche essere vittima di derisioni e ancor peggio aggressioni solo per il proprio orientamento sessuale.

Il tema molto sentito in Italia è ancor oggi una questione aperta e irrisolta.

Discriminazioni sul posto di lavoro: come difendersi

Quando una persona è vittima di discriminazione razziale sul lavoro, o discriminazione di genere, o in qualsiasi tra gli esempi di discriminazione riportati possono essere intraprese azioni individuali o collettive volte ad ottenere la tutela giudiziaria.

In particolare, si può esporre il caso al proprio sindacato, il quale si occuperà di entrare in contatto con il Consigliere di parità il cui compito è tutelare i diritti di lavoratore.

Il Consigliere/a di parità è una figura prevista dal nostro ordinamento di fondamentale importanza poiché ha il compito di garantire pari opportunità e rispetto della dignità di tutti i lavoratori.

La figura, come evidenziato dalle linee guida governative si occupa di:

  • verificare le segnalazioni provenienti dai lavoratori, dal sindacato, da avvocati, enti e istituzioni;
  • promuovere azioni positive e di sensibilizzazione sul tema;
  • diffondere best practices;
  • collaborare con gli ispettorati territoriali.

I CCNL contengono tutta una serie di procedure che possono essere messe in atto, tra cui anche le procedure d’urgenza, le quali comportano una convocazione delle parti coinvolte da parte del Giudice sul Lavoro.

Quest’ultimo qualora riconosca al lavoratore di essere stato vittima di discriminazione può intimare al risarcimento del danno oltre che operarsi per evitare che gli episodi possano accadere nuovamente.

Come anticipato, la discriminazione sul lavoro può colpire anche un gruppo di lavoratori. In questo caso possono essere prese azioni collettive, e la figura che si occupa di accertare la discriminazione, similmente al caso precedente, è il Consigliere di Parità.

Il Consigliere si occupa quindi di fare in modo che la discriminazione venga rimossa entro 120 giorni di tempo e coinvolgendo sia il datore di lavoro sia i sindacati.

Può succedere che il Consigliere di Parità non ritenga che le azioni denunciate siano configurabili come discriminatorie. A questo punto il lavoratore o il rappresentante di questi, può rivolgersi direttamente al Giudice, il quale condurrà una nuova verifica e in caso di esito positivo, intimerà la rimozione della discriminazione e il risarcimento delle vittime.

È interessante notare che, come stabilito dal D.L. n. 198 del 2006, spetta al datore di lavoro o a colui o coloro rei di aver attuato comportamenti discriminatori, dimostrare il contrario. In altri termini, non sono i lavoratori a dover provare l’avvenuta discriminazione.

Discriminazione al lavoro: conseguenze come affrontarla

La discriminazione delle donne sul lavoro, casi di discriminazione a sfondo razziale, ma anche in all’età o per via di una, anche lieve disabilità.

Come abbiamo visto è possibile difendersi ed essere tutelati in molti modi ma non sempre si ha il coraggio o vi sono gli estremi per sporgere denuncia. A volte gli episodi sono minimi, difficilmente punibili.

Le conseguenze possono essere molteplici, come evidenziato dall’APA essere vittima di discriminazione aumenta i livelli di stress e può portare a problemi quali:

  • ansia;
  • depressione;
  • ipertensione;
  • obesità;
  • uso di sostanze illecite.

Alle conseguenze fisiche e psicologiche bisogna aggiungere i danni alla carriera del lavoratore, il quale, tendenzialmente avrà difficoltà ad integrarsi, ad esprimere appieno il potenziale.

Oltre che rivolgersi tempestivamente al proprio sindacato, in caso di discriminazione, il lavoratore dovrebbe provare in tutti i modi ad evitare di cadere in depressione e farsi prendere dall’ansia. Sebbene non siano situazioni piacevoli né facili da affrontare, si consiglia di:

Rimanere concentrati su sé stessi

Bisogna cercare quanto più possibile di ignorare ogni episodio discriminatorio subito. Concentrarsi sui propri valori, sui propri affetti e sulle cose che davvero contano nella propria vita può aiutare. A volte, può essere sufficiente non mostrarsi deboli per evitare di essere oggetto di offese o derisioni.

Non farsi influenzare

Collegato al punto precedente. Il lavoratore uomo o donna, dovrebbe evitare di lasciarsi persuadere che: il genere, l’età, la religione o l’etnia possano effettivamente essere un limite.

In questi casi è bene chiedere supporto, ad uno psicologo, ad uno psichiatra, ed eventualmente confrontarsi con un life coach o un mentore.

Sono le persone a noi vicine e le autorità coloro a cui rivolgersi a chi chiedere aiuto e che possono aiutare a risolvere l’incresciosa situazione nel minor tempo possibile.

Confrontarsi

Essere vittima di discriminazione è molto più comune di quanto si possa pensare. Come abbiamo visto almeno un lavoratore su tre si è sentito almeno una volta discriminato.

Ebbene, confrontarsi, dedicarsi al volontariato, supportarsi a vicenda, può aiutare. Al contrario chiudersi in sé stessi e convincersi di essere in errore è il peggior modo di procedere.

Non temporeggiare

Un ultimo consiglio è quello di non temporeggiare. Sperare che si tratti di un episodio isolato o che con il tempo le cose miglioreranno è inutile.

Quando si è vittima di episodi discriminatori bisogna agire, prima che la situazione possa peggiorare ulteriormente. Come si è visto in questo articolo le leggi esistono, così come le figure preposte a garantire la parità di diritti.

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