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Mobbing sul lavoro

Per mobbing sul lavoro si intende una condotta violenta verbale o fisica perpetrata nel tempo da parte di superiori o colleghi, verso un lavoratore. Il termine deriva dall’inglese to mob, che indica in maniera negativa, una folla numerosa e adirata propensa a diventare violenta.

Il primo ad introdurre il termine “mobbing” fu lo zoologo ed etologo austriaco Konrad Lorenz nel 1963. Egli utilizzò questo termine per descrivere il comportamento minaccioso messo in atto da gruppi di animali più piccoli nei confronti di un singolo animale di taglia più grande.

L’implementazione di questo termine in un contesto lavorativo è dovuto allo psichiatra tedesco Heinz Leymann che nel 1996 ha utilizzato il termine per indicare la pratica avviata da uno o più soggetti nei confronti di un lavoratore, al fine di indurlo ad abbandonare il posto di lavoro.

Questo articolo indaga sulle cause del mobbing, fornisce utili strumenti per dimostrarlo, spiega come difendersi e reagire, a chi rivolgersi e contiene un approfondimento sugli studi e le ricerche condotte sul tema.

Mobbing sul lavoro come dimostrarlo?

Quando i comportamenti ostili e vessatori di superiori e colleghi nei confronti di un lavoratore, spingono quest’ultimo ad emarginarsi e a subire effetti psichici e fisici tangibili, la vittima può affidarsi alla legge intraprendendo un’azione legale rivolta all’ottenimento di un risarcimento per i danni subiti.

Denunciare alle autorità competenti di essere vittima di mobbing, è una procedura piuttosto complessa che necessita la supervisione di un legale esperto in materia. La valutazione delle conseguenze causate dal mobbing infatti, richiedono una precisa analisi e una conoscenza in materia di Diritto del Lavoro.

Un legale una volta messo al corrente della situazione, procederà raccogliendo una serie di prove utili a dimostrare la presenza di un comportamento illecito messo in atto da un lavoratore nei confronti di un proprio collega o dipendente.

La raccolta delle prove avviene verificando le testimonianze dei colleghi e del personale e attraverso la valutazione del contenuto di e-mail e messaggi ricevuti dalla vittima. Il legale può altresì richiedere al lavoratore di registrare le conversazioni rilevanti per dimostrare la presenza di mobbing.

In dettaglio, un lavoratore mobbizzato dovrà provare:

Comportamenti illeciti reiterati: un singolo episodio non è sufficiente per provare una condotta vessatoria, al fine di dimostrare la presenza di mobbing, le aggressioni psicologiche e fisiche devono essere continue nel tempo.

Aver subito danni o lesioni: le testimonianze raccolte in tal senso devono provare che il lavoratore ha subito o sta subendo gravi ripercussioni a livello psico-fisico. Come prova sono particolarmente efficaci perizie e certificati medici a riprova del danno subito.

Le responsabilità dei colleghi o dei superiori: uno degli aspetti più delicati è dimostrare l’effettiva responsabilità del datore di lavoro o dei colleghi. In altre parole, è necessario provare che il danno subito sia stato causato da altre persone e non da una condizione propria o da fattori esterni al contesto lavorativo.

Mobbing verticale e orizzontale

Un lavoratore vittima di stress e burnout o che prova sentimenti di rifiuto verso il proprio lavoro, nell’interrogarsi riguardo le possibili cause di tali disagi e malesseri deve considerare anche la presenza di eventuali atteggiamenti vessatori messi in atto dai propri datori o colleghi.

Esistono due tipi di mobbing che possono verificarsi in un ambiente di lavoro.

Mobbing orizzontale

Questo tipo di mobbing è caratterizzato dal fatto che la vittima e il molestatore appartengono allo stesso grado gerarchico. È un evento cioè, che si verifica tra colleghi, le cui conseguenze possono avere gravi ripercussioni psicologiche per chi subisce la violenza. Le cause dietro questo tipo di molestie sono diverse, le più comuni consistono nel costringere un lavoratore a rispettare alcune regole del tutto arbitrarie, la presenza di offese e di atteggiamenti ostili.

Mobbing verticale

Le molestie sul lavoro sono di tipo verticale quando sono subite da parte di uno o più lavoratori che ricoprono un ruolo di livello diverso rispetto alla vittima. Il mobbing verticale a sua volta può essere di tipo ascendente, quando un lavoratore di livello superiore viene attaccato da uno o più subordinati o al contrario può essere di tipo discendente, quando un lavoratore di livello inferiore riceve molestie da uno o più individui che ricoprono un ruolo più alto nella gerarchia aziendale. Questo tipo di comportamento è generalmente finalizzato a costringere il dipendente ad abbandonare il lavoro.

Gli obiettivi che l’autore del mobbing vuole raggiungere possono essere:

Mobbing strategico: questo tipo di molestia è di tipo verticale, rivolta verso un lavoratore di grado aziendale più basso. Un mobbing che ha come obiettivo quello di indurre il lavoratore a recidere il contratto volontariamente, esonerando l’azienda a pagare il risarcimento previsto a causa del licenziamento senza giusta causa.

Mobbing perverso: avviene quando le molestie non hanno alcun obiettivo definito e le cause sono esclusivamente dovute alla personalità aggressiva del molestatore. Il mobbing perverso ricade nel reato di stalking ed è spesso esercitato senza testimoni. Le donne sono più frequentemente vittime di questo tipo di mobbing che può essere sia verticale sia orizzontale.

Come difendersi dal mobbing

Come evidenziato dal Comitato delle Pari Opportunità dell’Università degli Studi di Firenze, non esistono rimedi magici per liberarsi dal mobbing. Prima di fornire qualsiasi suggerimento, è importante analizzare il fenomeno ponderandolo alla situazione. Intraprendere azioni legali su un caso di mobbing in corso di svolgimento può risultare abbastanza arduo, prima di procedere è consigliato un lavoro attento e preventivo da parte di un’azienda, al fine di evitare che i conflitti sfocino in casi di mobbing.

La cura e la prevenzione dei conflitti interni ad un posto di lavoro, ricorda il Comitato delle Pari Opportunità degli Studi di Firenze, è un aspetto sul quale le aziende possono lavorare mettendo a disposizione corsi specifici di formazione.

Prevedere tali corsi porta a benefici sia economici sia relazionali, tuttavia sembra essere una precauzione che non viene adeguatamente presa in considerazione dalle aziende italiane.

Dal punto di vista dei lavoratori può essere utile partecipare a lezioni per l’autodifesa verbale. Sono dei corsi che insegnano come affrontare e gestire i conflitti presenti nella vita di tutti i giorni. L’autodifesa verbale permetti di impare quali tecniche utilizzare per non divenire vittime di attacchi verbali, come le offese, le critiche infondate e gli insulti.

Lo scopo di tali corsi è quello di difendersi dal conflitto, non insegnano ad attaccare a sua volta. Spesso infatti, i conflitti nascono per via dell’incapacità dell’interlocutore di rispondere adeguatamente, limitando subito il possibile insorgere di situazioni spiacevoli prima che degenerino in mobbing.

La vittima una volta apprese tali tecniche acquisisce sicurezza in sé stessa, imparando a tutelare la propria dignità ed evitando che eventuali attacchi verbali subiti possano minare l’autostima e la fiducia in sé stessi.

Secondo gli studi condotti da Ascenzi e Bergagio è fondamentale essere informati sul tema del mobbing e acquisire una cultura del lavoro per molti aspetti diversi o addirittura opposta rispetto a quella a cui si è abituati.

Ogni situazione di mobbing infatti è unica nel suo genere, per questo motivo diventa arduo dare delle indicazioni universali per ogni caso. Ege (2001) propone alcune norme comportali da tenere. In primo luogo, è importante de-emozionare il conflitto, riuscendo ad affrontarlo con nervi saldi e lucidità. Reagire istintivamente infatti può essere estremamente dannoso in quanto non si fa altro che fare il gioco dell’aggressore.

Il mobber generalmente compie azioni vessatorie assicurandosi di non avere testimoni, per questo motivo è utile iniziare sin da subito ad annotare tutto ciò che accade in un ambiente di lavoro, scrivendo ogni azione mobbizzante subita, comprensiva di orari, luoghi e la presenza di eventuali testimoni. È altresì utile annotare quali ripercussioni si avvertono sul proprio organismo e disporre di un documento scritto da un medico che le attesti.

Sarebbe utile anche trovare figure interne all’ufficio che possano aiutare a contenere le azioni di mobbing, tuttavia spesso i colleghi, per la paura di divenire a loro volta vittime si rifiutano di offrire il proprio supporto.

Quando si decide di ricorrere alle vie legali, è importante avere pazienza. Le cause hanno tempi molto lunghi e anche vincere il primo grado potrebbe non mettere fine al problema, in quanto potrebbe esserci il ricordo in appello. Per arrivare ad una sentenza definitiva potrebbero volerci fino a 10 anni.

In generale quando si è vittima di mobbing è consigliato seguire i seguenti punti:

  • Rivolgersi alle figure predisposte alla gestione delle risorse umane e migliorare il dialogo con i propri colleghi;
  • Frequentare corsi di formazione rivolti ad aumentare l’autostima e comprendere se ciò che si sta subendo sia effettivamente un episodio di mobbing;
  • Rivolgersi ai sindacati e ai punti di ascolti del Comitato delle Pari opportunità.

Il mobbing è reato?

È bene specificare che la legislazione vigente non prevede uno specifico reato per mobbing. Tuttavia, i comportamenti messi in atto da un mobber potrebbero rientrare in alcuni reati previsti dal Codice penale a tutela dell’individuo, della libertà personale e morale.

Quando si è vittima di mobbing in piccole realtà aziendali a conduzione familiare si può far riferimento all’articolo 572 c.p. per maltrattamenti contro familiari e conviventi e all’articolo 610 c.p. che punisce la violenza privata.

In caso di minacce subite che mettono in pericolo la vittima esiste l’articolo 612 c.p. quando le minacce sfociano in lesioni personali che ledono l’integrità fisica e psichica si può fare riferimento agli articoli 582 e 590 c.p.

Se la condotta vessatoria arriva a trasformarsi in molestia, azioni di disturbo o violenza sessuale, il Codice penale condanna tali atteggiamenti ai sensi degli articoli 609-bis e 660.

Quando azioni vessatorie sono condotte da un pubblico ufficiale il reato che si configura è quello di abuso d’ufficio punito dall’articolo 323 c.p.

A livello costituzionale è possibile richiamare l’articolo 2 che sancisce il valore centrale e primario della persona, sia come individuo sia come membro della società. L’articolo 3 sancisce il principio di uguaglianza tra tutti i cittadini e l’articolo 4 riconosce il lavoro come diritto per tutti i cittadini.

Parallelamente l’articolo 32 della Costituzione tutela la salute e l’articolo 2087 del Codice civile impone al datore di lavoro di tutelare l’integrità fisica e morale dei lavoratori.

Inoltre, l’articolo 2043 c.c. obbliga chiunque abbia commesso un fatto doloso o colposo a risarcire il danno e l’articolo 2049 c.c. ricorda che il datore di lavoro risponde direttamente dei fatti causati illecitamente dai propri dipendenti durante l’orario di lavoro.

Un lavoratore è altresì tutelato dallo Statuto dei lavoratori, dal Codice delle pari opportunità tra uomo e donna e dal Testo unico per la sicurezza sul lavoro.

Il tribunale che riconosce al lavoratore di essere stato vittima di mobbing per via della violazione di uno o più articoli sopra citati, ha diritto al risarcimento dei danni le cui modalità sono stabilite dal giudice.

In particolare, possono essere richiesti e ottenuti il risarcimento dei costi affrontati dalla vittima a causa delle violenze subite, come le spese mediche o farmaceutiche sostenute. Allo stesso modo possono essere risarciti i guadagni non percepiti se il mobbing ha portato il lavoratore ad essere assegnato a mansioni inferiori o gli sono state negate opportunità per l’avanzamento di carriera.

La legge inoltre prevede un risarcimento anche per i danni biologici (patologie fisiche o psichiche) danni morali e danni esistenziali.

Mobbing sul lavoro, a chi rivolgersi?

Quando si ritiene essere vittima di mobbing è consigliato recarsi presso gli sportelli dedicati. Molti comuni italiani infatti hanno un servizio dedicato antimobbing. Per sapere il centro più vicino alla propria residenza è sufficiente consultare il sito del proprio comune.

Inoltre, essendo un argomento particolarmente delicato è indicato rivolgersi ad un legale che ha esperienza in questo tipo di cause, in grado di tutelare la propria posizione lavorativa. Quando le aggressioni subite si configurano come reati, è necessario presentare una denuncia presso le autorità predisposte sul territorio, quali carabinieri e polizia. Una volta presentata la denuncia gli organi competenti si occuperanno delle indagini finalizzate ad accertare i fatti.

Se il reato dovesse sfociare nel penale, la vittima deve costituirsi parte civile e richiedere un risarcimento dei danni subiti in caso di condanna. Quando il reato invece prevede un’azione in ambito civile è necessario fare ricorso presso il tribunale competente e richiedere il risarcimento del danno.

Come già specificato in precedenza è bene avere a disposizione tutte le prove necessarie per far sì di non essere più vittima di tali aggressioni. In particolare, è bene avere dei certificati medici che attestino il danno fisico e psicologico subito, eventuali testimoni che hanno assistito alle violenze, appunti compresivi di date che indicano quando le vessazioni sono state subite, tutti i documenti cartacei a sostegno delle proprie motivazioni: e-mail, messaggi, sms.

Bullismo e mobbing sul posto di lavoro

In uno studio condotto da Lacey M. Sloan dell’University of Vermont, Tom Matyok e Cathryne L. Schimtz dell’University of North Carolina e da Glenda F. Lester Short dell’East Tennessee State University è approfondito il tema del bullismo e del mobbing sui posti di lavoro.

Come riportato dall’European Foundation il bullismo e il mobbing sono forme di abuso nascoste, mirate e diffuse sul posto di lavoro. Un comportamento volto a ostracizzare e isolare un individuo.

Nonostante le ragioni siano ancora sconosciute, questi tipi di fenomeni si verificano più frequentemente nei settori del servizio sociale, della salute e nei settori educativi.

La presenza di episodi di mobbing e bullismo ha un impatto negativo sull’azienda in termini di perdita di dipendenti di talento, di diminuzione della produttività e personale demoralizzato. Come sottolineato dagli autori della ricerca, siamo di fronte ad un fenomeno complesso che può essere mitigato solo attraverso un cambiamento nella cultura organizzativa aziendale.

Se da un lato gli episodi di violenza sono studiati e contrastati all’interno delle scuole elementari, primarie e secondarie, fino a poco tempo fa questi tipi di intimidazione non venivano riconosciuti come episodi comuni all’interno dei luoghi di lavoro (Lee & Brotheridge, 2006).

Le conseguenze del mobbing e del bullismo sono tali da creare in chi le subisce ansia, bassa autostima e malesseri in generale, fisici e psicologici.

Gli studi ma anche le discussioni inerenti al tema appaiono sterili, il che crea una mancanza di conoscenza e attenzione che l’argomento meriterebbe di avere. Per tutelare le persone all’interno del posto di lavoro è necessario creare organizzazioni specifiche che si prendano cura del benessere e del rispetto delle norme.

Il sociologo canadese Kenneth Westhues professore emerito della Waterloo University, definisce il mobbing come una forma estrema di bullismo di gruppo nel quale uno o più dipendenti attaccano un collega. L’obiettivo è di isolare, ostracizzare ed eliminare l’individuo prescelto.

Un fenomeno che disumanizza la vittima che vede negati i più basilari diritti umani, costretta a subire un processo di terrorismo psicologico ed emotivo.

L’international Labour Organization (ILO, Organizzazione internazionale del lavoro) riconosce nell’abuso emotivo una violenza psicologica e identifica il bullismo e il mobbing come le due forme principali di questa violenza. l’ILO considera di pari gravità sia la violenza verbale sia quella fisica, dando molta importanza anche ai piccoli atti.

I trasgressori inoltre, potrebbero continuare a perseguitare la vittima anche quando questa abbandona il posto di lavoro, per esempio screditando la persona in altre aziende dove la vittima ha trovato una nuova occupazione.

Secondo McCord e Richardson, un bullo prende di mira un individuo che ritiene minaccioso, a ciò segue che i target scelti spesso siano i dipendenti dotati di maggior talento, altamente qualificati, intelligenti, creativi ed etici.

Tipo di occupazione, genere, etnia ed età sono tutti fattori legati al rischio di subire violenza. I lavoratori impegnati nei servizi sociali, sanitari e nell’istruzione hanno un rischio di 2,8 superiore alla media di essere vittima di bullismo e mobbing. I lavoratori più giovani sotto i 25 anni e i lavoratori più anziani sopra i 55 anni, hanno un rischio maggiore di essere presi di mira.

La Fondazione europea rileva che le donne hanno un rischio maggiore del 75% di essere scelte come obiettivo da un mobber, una percentuale che cresce se la donna è afroamericana o latino-americana. Quest’ultimo aspetto conferma che i gruppi storicamente emarginati sono a maggior rischio, ciò non deve sorprendere se si considerano i motivi alla base di questo tipo di comportamento.

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