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Jobs Act, la riforma del mercato lavorativo

Il Jobs Act è stata l’ultima riforma attuata in Italia riguardo il mercato del lavoro. La riforma è in vigore dal 2015 ed è stata fortemente voluta dall’allora Primo Ministro Matteo Renzi.

Il Jobs Act è diviso in due provvedimenti: il Decreto Legge del 20 marzo 2014 n.34 e la legge del 10 dicembre 2014 n.183 e da otto decreti attuativi.

La riforma del lavoro ha portato ad importanti modifiche che hanno cambiato in maniera sostanziale il mercato del lavoro.

Sono state apportate modifiche riguardo: gli ammortizzatori sociali, i servizi per il lavoro, sono state riviste alcune forme contrattuali, la normativa in tema di licenziamenti e vi sono stati anche interventi volti alla tutela della maternità e per favorire la conciliazione dei tempi vita-lavoro.

In questo articolo si vedrà cosa prevede e cosa è cambiato nel mercato del lavoro da quando il Jobs Act è entrato in vigore.

Jobs Act: la riforma

La riforma del Jobs Act ha coinvolto 8 temi inerenti al mercato del lavoro:

  • Tutele crescenti;
  • Politiche attive;
  • Maternità;
  • Flessibilità;
  • Tutela del lavoro;
  • Semplificazione.

Tutele crescenti

Le tutele crescenti rientrano in quelle misure volte a creare un’occupazione stabile che il Jobs Act ha cercato di raggiungere agevolando l’adozione dei contratti di lavoro a tempo indeterminato.

La riforma sul tema ha previsto, altresì, nuove disposizioni in materia di licenziamenti. Su questo sito è già presente un articolo dedicato alle tutele crescenti che consigliamo di leggere per avere ogni informazione sul tema.

Politiche attive

Per politiche attive, la riforma del Jobs Act ha previsto alcuni provvedimenti volti a favorire il rinserimento del lavoratore disoccupato nel mercato del lavoro.

L’obiettivo è stato quello di fornire la possibilità alle persone, una volta perso il lavoro, di partecipare ad appositi corsi di formazione e specializzazione finalizzati ad aumentare le competenze .

Le politiche attive hanno dunque portato ad un potenziamento dei Servizi per l’impiego, così che la domanda e l’offerta di lavoro possano incontrarsi più semplicemente.

L’attenzione della riforma ha altresì previsto numerosi incentivi volti a favorire l’autoimpiego e l’imprenditoria, soprattutto femminile.

In generale per politiche attive si intendono tutte quelle misure promosse a livello regionale e rivolte a categorie di lavoratori in difficoltà.

In particolare, le categorie più a rischio risultano essere i giovani under 30, coloro che percepiscono una NASpI, le donne, tutti i disoccupati over 50, i lavoratori in cassa integrazione, le categorie protette (disabili, orfani, disoccupati di lungo corso).

Tali politiche sono definite attive perché attraverso azioni mirate puntano ad inserire le persone nel mercato del lavoro.
Si differenziano dalle politiche passive, le quali, invece hanno l’unico scopo di arginare la povertà e si concretizzano, ad esempio, attraverso misure di sostegno al reddito.

Maternità

La riforma del Jobs Act ha previsto numerose misure volte ad aumentare il numero di donne impegnate nel mercato del lavoro. La riforma ha posto particolare attenzione verso la conciliazione dei tempi lavorativi con il tempo di vita, concetto anche conosciuto come: work life balance.

In particolare, vi è una maggiore flessibilità inerente al tema del congedo di maternità.

Un provvedimento che grazie al Jobs Act, prevede oggi tutele anche per le lavoratrici autonome. Le quali possono usufruire del congedo a condizione che siano iscritte alla Gestione Separata dell’INPS.

Inoltre, il congedo parentale è stato esteso anche ai genitori adottivi e maggiori tutele sono state previste per le donne vittime di violenza le quali possono ora usufruire di un congedo su base trimestrale.

Il Jobs Act in tema di maternità e paternità stabilisce inoltre:

  • In caso di parto anticipato la neomamma può aggiungere i giorni residui spostandoli e usufruendone dopo il parto anche se questi comportano il superamento del limite del congedo di maternità fissato a 5 mesi.
  • In caso di ricovero del neonato la mamma può sospendere il congedo e riprendere ad usufruirne solo quando il bambino viene dimesso.
  • La lavoratrice-madre che ha un impiego notturno non può essere obbligata allo svolgimento del lavoro fino ai tre anni di vita del bambino.

Flessibilità

Nuove misure sono state introdotte per rendere l’orario di lavoro più flessibile che tenga conto delle esigenze dei lavoratori.

Rientrano nel concetto di flessibilità tutte quelle misure, oltre che legate agli orari di lavoro, che permettono di lavorare da casa in smart work, di cambiare l’attività svolta e in generale di adattarsi alle esigenze aziendali.

Il concetto di flessibilità dovrebbe garantire maggiori soddisfazioni personali, maggiori possibilità di avanzamento carriera e per le aziende migliori performance e produttività.

Le misure sono sia rivolte ai neogenitori sia tutelano coloro che stanno fronteggiando una malattia. Questi ultimi hanno oggi la possibilità di trasformare il proprio orario di lavoro dal tempo pieno a part-time.

Le misure adottate in tema di flessibilità sul lavoro sono contenute nel Decreto Legislativo del 15 giugno 2015, n.80.

Tutela del lavoro

Una maggiore tutela del lavoro è stata raggiunta grazie ad un’estensione degli strumenti di sostegno al reddito rivolti a chi ha perso il lavoro.

Gli ammortizzatori sociali contenuti nel Decreto Legislativo del 4 marzo 2015 n.22 sono stati dunque riordinati.

In particolare, si segnala l’introduzione dell’indennità mensile di disoccupazione, NASPI, che ha esteso il bacino dei potenziali richiedenti.

Allo stesso modo, la riforma del Jobs Act ha coinvolto i lavoratori a progetto, che possono ottenere un sostegno al reddito mediante la nuova DIS-COLL.

Sono stati altresì riservati fondi rivolti a coloro che non riescono a trovare un impiego, i quali, una volta scaduta la NASPI, possono richiedere l’ASDI: l’assegno di disoccupazione involontaria.

Nuovi e più efficaci ammortizzatori sociali sono stati previsti anche per gli apprendisti, che ora possono accedere alla cassa integrazione.

Riassumendo, l’entrata in vigore del Jobs Act ha diviso gli ammortizzatori sociali in tre tipologie:

ASPi

Riservata ai lavoratori dipendenti: pubblici a termine, soci lavoratori e personale artistico.

Si applica quando lo stato di disoccupazione è involontaria e prevede un’indennità di 2 anni di un importo pari al 75% della retribuzione precedentemente percepita.

Mini-AspI

È rivolta ai lavoratori dipendenti ed è rivolta a tutti i soggetti che non hanno un lavoro. È prevista un’indennità di almeno 13 settimane ma per essere ottenuta richiede di aver versato contributi per almeno i 12 mesi precedenti al periodo di disoccupazione.

L’importo percepito dal soggetto disoccupato è pari a quanto previsto nella ASpI

Tutte le modifiche apportate dal Jobs Act in tema di tutela del lavoro hanno il fine ultimo di ridurre la disoccupazione e disincentivare il lavoro irregolare.

In merito a quest’ultimo aspetto è stato costituito l’Ispettorato Nazionale del Lavoro che svolge funzioni di monitoraggio e contrasto delle forme di lavoro nero e prevenzione in tema di sicurezza e salute.

NASpI

La misura si rivolge ai lavoratori dipendenti che sono in stato di disoccupazione involontaria ma hanno accumulato almeno 13 settimane di contributi negli ultimi 4 anni oltre che almeno 30 giorni di lavoro negli ultimi 12 mesi.

L’importo dell’indennità è calcolato sulla base dei contributi versati negli ultimi 4 anni divisi per il numero di settimane e moltiplicata per 4,33. Ogni mese l’indennità si riduce del 3%.

Semplificazione

Il Jobs Act ha previsto numerose semplificazioni mirate ad agevolare le aziende ad assumere o convertire i contratti di lavoro verso forme più stabili.

Pertanto sono stati eliminati i contratti a progetto continuato Co.Co.Pro. e sono state introdotte nuove misure per facilitare l’assunzione dei dipendenti sotto il profilo burocratico.

Evoluzione del Jobs Act dal 2015 al 2021

Sono trascorsi oltre 5 anni dalla riforma del Jobs Act fortemente voluta da Matteo Renzi. Il susseguirsi dei Governi in Italia e varie pronunce sia a livello Europeo che da parte della Corte costituzionale, rendono necessaria una panoramica sullo stato odierno della riforma.

Tra i principali punti oggetto di discussione vi è la sentenza del 2018 n.194 emessa della Corte costituzionale.

La sentenza ha dichiarato incostituzionale la parte del Jobs Act relativa all’indennità corrisposta al lavoratore e basata sulle tutele crescenti.

Di fatto, le tutele crescenti esistono ancora ma i giudici hanno precisato che l’anzianità non può essere l’unica discriminante per la determinazione dell’importo da corrispondere al lavoratore licenziato per ingiusta causa.

Pertanto, anche aspetti quali: grandezza dell’azienda e i rapporti tra il datore di lavoro e i dipendenti sono oggi presi in considerazione.

Eccezion fatta per questo aspetto, che comunque ha messo in discussione l’attuazione delle tutele crescenti, in molti punti in Jobs Act è ancora attivo e immutato.

Ad esempio, la modifica apportata all’articolo 2103 del Codice civile.

Jobs Act: la modifica dell’articolo 2103 del Codice civile

La riforma del Jobs Act ha portato un’importante modifica all’articolo 2013 del Codice civile. Tale articolo, prima delle modifiche apportate, permetteva ad un datore di lavoro di modificare le mansioni del lavoratore attribuendone altre a condizioni che queste fossero equivalenti.

Per equivalenti si intende che le nuove mansioni attribuite fossero oggettivamente di pari valore delle precedenti e coerenti con il bagaglio di conoscenze del lavoratore.

La norma, sotto intendeva la possibilità per il lavoratore di svolgere nuove mansioni che in un certo senso permettessero a quest’ultimo di specializzarsi.

Dunque, qualora un lavoratore avesse voluto contestare le nuove mansioni attribuite, un giudice non solo era tenuto a valutare che lo stipendio percepito fosse il medesimo ma doveva anche accertare lo stesso grado professionale della mansione.

Il Jobs Act ha modificato questo aspetto, stabilendo che, dal 2015 in poi, il lavoratore può essere adibito a nuove mansioni solo se queste siano riconducibili al medesimo inquadramento e categoria legale della precedente.

In altre parole, il datore di lavoro può ancora modificare le mansioni del lavoratore ma queste devono rimanere nello stesso ambito lavorativo.

Quindi, la discriminante volta a verificare la legittimità della nuova mansione è data da quanto riportato nel contratto di lavoro collettivo utilizzato.

L’aspetto è particolarmente rivelante per lo sviluppo orizzontale della carriera di un lavoratore, il quale ha così la certezza che la propria carriera segua un inquadramento definito.

Ciò comporta che qualora si dovesse interpellare il giudice, quest’ultimo non è più tenuto ad una valutazione dal punto di vista professionale di due mansioni completamente diverse tra loro ma deve solo accertarsi che i nuovi compiti siano dello stesso livello e categoria.

La norma ha la funzione stabilire dei parametri oggettivi e volti a valutare la legittimità delle nuove mansioni assegnate.

Demansionamento

Le modifiche apportate al Codice civile hanno riguardato anche l’articolo 2103 inerente al demansionamento.
Per demansionamento si intende la facoltà del datore di lavoro di attribuire mansioni inferiori alle precedenti ad un lavoratore.

Tale comportamento era ed è vietato anche dal Jobs Act. Tuttavia, prima della riforma vi erano alcune eccezioni.
Ad esempio, una donna in stato di gravidanza se non poteva essere adibita a mansioni equivalenti poteva essere assegnata ad altre attività non equivalenti.

Stessa cosa per i lavoratori vittime di incidenti che ne hanno causato una perdita di alcune capacità.

Con le modifiche introdotte dal Jobs Act il demansionamento può avvenire solo nel caso in cui sia finalizzato alla conservazione del posto di lavoro o permetta di acquisire una nuova competenza o migliori le condizioni di vita.

Il Jobs Act ha funzionato?

Comprendere se la riforma del lavoro ha apportato significative migliorie al Paese oppure sia stata una riforma dagli effetti ininfluenti è un compito arduo per molteplici ragioni.

Dall’adozione del Jobs Act sono passati diversi anni che hanno visto il susseguirsi di Governi e di cambiamenti radicali nel mercato del lavoro e nella vita dei lavoratori.

Ad ogni modo, uno dei documenti che più aiuta a comprendere i risultati del Jobs Act è stato elaborato dall’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro.

L’analisi è stata principalmente incentrata sull’introduzione delle tutele crescenti e delle agevolazioni che avrebbero dovuto, negli intenti della riforma, favorire la stipula di contratti a tempo indeterminato.
I risultati mostrano che:

  • Le tutele crescenti non espongono i lavoratori a maggiori rischi di licenziamento rispetto ai lavoratori che sono ancora soggetti al regime stabilito dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
  • Secondo i risultati raccolti successivamente all’adozione del Jobs Act, le percentuali dei dipendenti licenziati prima e dopo la riforma appaiono molto simili (21,3% e 22,6%).
  • I problemi economici dell’impresa continuano a rimanere il principale motivo per il quale i dipendenti vengono licenziati anche dopo l’introduzione delle tutele crescenti.
  • Sono molto basse (2,1% e 2,8%) le percentuali dei lavoratori licenziati per motivi disciplinari. Le due percentuali sono riferite ai lavoratori assunti prima e dopo il Jobs Act.
  • L’esonero del pagamento dei contributi per le nuove assunzioni ha garantito una maggiore sopravvivenza dei nuovi dipendenti in azienda. Il 40,5% di questi sono rimasti nel personale aziendale anche dopo il termine degli incentivi.

Dai dati raccolti, la riforma del Jobs Act, sembra aver funzionato bene fin quando le imprese hanno potuto beneficiare degli sgravi contributivi da versare ai dipendenti.

Considerando il biennio che hanno visto la presenza degli sgravi i nuovi contratti di lavoro sono stati oltre 631 mila.

La non presenza degli incentivi ha portato, invece, +583mila contratti di lavoro. In questo caso è stato preso come riferimento il biennio 2011-2013.

Un’ulteriore analisi sul Jobs Act è stata condotta da Tito Boeri, economista ed ex presidente dell’INPS.

Il lavoro dal titolo: “Graded Security and Labor Market Mobility Clean Evidence from the Italian Jobs Act” risulta essere un’accurata analisi della riforma e del mercato del lavoro in Italia.

Lo studio empirico, basato sui dati raccolti da un set di imprese italiane con un numero di dipendenti compreso tra 10 e 20 ha evidenziato aumenti:

  • nella mobilità del lavoro;
  • nel numero di assunzioni a tempo indeterminato che, nel periodo successivo alla riforma ha coinvolto soprattutto le imprese da 15 dipendenti in su;
  • nella conversione dei contratti da determinato ad indeterminato.

Tito Boeri ha inoltre rilasciato diverse interviste in cui esprimeva un parere favorevole riguardo la riforma del lavoro.

Secondo l’economista gli effetti positivi del Jobs Act sul mercato del lavoro sono stati portati principalmente da due aspetti: l’introduzione dei contratti a tutele crescenti e dagli sgravi contributivi per le imprese, le quali hanno assunto nuovi lavoratori.

Cosa rimane del Jobs Act oggi

In conclusione, si può dire che il Jobs Act sia ancora attivo almeno nei punti principali, nonostante, come abbiamo visto, non sono mancate sentenze provenienti sia dalla Corte costituzionale, sia in sede Europea.

Periodicamente, la classe politica torna a dibattere sul Jobs Act e non è raro sentire di schieramenti che promettono di lavorare ad una nuova riforma del lavoro.

Tuttavia, al momento gli 8 pilastri sui quali è stata elaborata la riforma del lavoro non sembrano in fase di ridefinizione.

Ad esempio, appare saldo al suo posto quanto previsto dal Decreto Legislativo n.22 del 2015 inerente alla NASPi così come, nessuna forza politica sta lavorando su nuovi ammortizzatori sociali.

Allo stesso modo, il Decreto Legislativo n.150 del 2015 che negli intenti avrebbe dovuto modificare il funzionamento dei Centri per l’impiego, sebbene a detta di molti non abbia raggiunto i risultati sperati, non sembra oggetto di modifiche nell’immediato futuro.

Al contrario, alcune modifiche al Jobs Act sono state apportate per quanto concerne il Codice dei Contratti. Alcuni interventi susseguiti negli anni hanno portato a modifiche nei contratti a termine e nei contratti di somministrazione.

Entrambi risultano essere più rigidi per via di quanto introdotto nel Decreto Dignità del 2018.

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