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Emigrazione italiana nel mondo

Il tema delle migrazioni in Italia è comunemente associato al fenomeno degli immigrati che arrivano più o meno legalmente nel nostro paese.

In pochi però riflettono sul fatto che per migrazione è inteso un concetto generale definito come: emigrazione quando da un paese delle persone (in questo caso) si spostano in un altro e immigrazione quando il flusso di persone arriva in un paese diverso da quello natio.

Gli italiani storicamente hanno conosciuto e continuano a vivere entrambi i fenomeni. Ad oggi l’Italia è un paese che accoglie migranti e allo stesso tempo subisce forti emigrazioni, soprattutto tra i giovani.

Il rapporto della Fondazione Migrantes

Secondo il rapporto della Fondazione Migrantes sono 128.000 le partenze all’anno degli italiani verso l’estero. Che si uniscono ai quasi 5,3 milioni di italiani già residenti all’estero.

Con una popolazione di oltre 60 milioni di cittadini i dati AIRE raccontano che, al primo gennaio 2019 l’8,8% di italiani è residente all’estero. In valore assoluto la mobilità italiana negli ultimi 13 anni (dal 2006 al 2019) è aumentata di oltre il 70% passando da 3.1 milioni di iscritti all’AIRE a quasi 5,3 milioni. I dati raccolti evidenziano un netto aumento degli iscritti per nascita in un paese estero, circa il 40% mentre rimane maggiore del 50% la percentuale di quanti si iscrivono all’AIRE per espatrio.

Quasi la metà degli italiani che emigrano all’estero proviene dal Sud Italia, il 35,5% provengono dal Nord e il 15,6% dal centro Italia.

Le mete maggiormente interessate dalla presenza di italiani sono i paesi europei con oltre il 40% del totale di emigrati e l’America centro meridionale con oltre il 30%. Nello specifico oltre 800.000 italiani risiedono in Argentina, 764.000 in Germania, 623.000 in Svizzera, quasi mezzo milione in Brasile così come in Francia, oltre 127 mila italiani risiedono nel Regno Unito e 272 mila negli Stati Uniti d’America. Il Regno Unito resta una delle mete prescelte soprattutto dai giovani italiani nell’ultimo anno e ha visto incrementare di oltre 11 punti percentuali le iscrizioni all’AIRE.

Nel 2019 le emigrazioni hanno interessato 107 province italiane, vedendo come capolista proprio la capitale, Roma. A livello regionale il fenomeno riguarda tutta l’Italia da Nord a Sud. Secondo il rapporto della Fondazione Migrantes la Lombardia è la regione in cui si contano più partenze (22.803), a seguire il Veneto (13.329), la Sicilia con 12.127 partenze, il Lazio (10.171) e il Piemonte (9.702).

Analizzando la situazione tra il 2008 e il 2018 i dati mostrano come il numero di espatri è passato da 39.000 persone nel 2008 a circa 117.000 espatriati nel 2018 (+195,3%). I rimpatri nell’arco temporale considerato sono aumentati del +45,8% ma restano nettamente inferiori alle partenze verso altri paesi.

Lo studio della Fondazione Migrantes non ha solo l’obiettivo di fornire un dato statistico ma ha anche uno scopo educativo che possa aumentare la consapevolezza e “il rispetto della diversità di chi è italiano o cittadino del mondo e si trova a vivere in un Paese diverso da quello in cui è nato”.

Storia dell’emigrazione italiana

La più grande ondata emigratoria italiana risale al periodo compreso tra il 1861 e il 1975, quando quasi 30 milioni italiani decisero di cercare fortuna all’estero. Sono oltre 14 milioni gli emigrati italiani che partono nei decenni successivi all’Unità d’Italia. Intere province soprattutto del Sud vedono dimezzare la popolazione. Le destinazioni più ambite sono il continente americano e i paesi dell’Europa del Nord.

Quando nel comune parlato utilizziamo la frase “viaggio della speranza” l’espressione fa riferimento agli estenuanti viaggi che i cittadini italiani affrontavano per raggiungere le mete del Nord e del Sud America. Molti cittadini italiani non arrivarono mai a destinazione.

Raggiungere la meta desiderata è solo il primo passo verso la possibilità di una vita migliore.

Gli italiani emigrati subirono i pesanti effetti dei pregiudizi. Ad esempio, negli Stati Uniti d’America che da poco avevano abolito la schiavitù, gli italiani vengono definiti come: “Non bianchi ma nemmeno palesemente negri”; “stirpe di assassini, anarchici e mafiosi”. Appellativi scomodi che palesano tutta l’avversione degli americani in quel periodo nei confronti degli immigrati italiani.

Sebbene in molti sono riusciti a crearsi un futuro migliore negli Stati Uniti d’America, trovando lavoro ed integrandosi, la maggior parte si trova a vivere delle condizioni peggiori rispetto a quelle in cui versava in Italia.

Il flusso migratorio subisce una riduzione negli anni sessanta del novecento grazie al boom economico che porta un certo benessere nel paese. Nascono le piccole e medie imprese e si assiste ad un forte sviluppo dell’industria in modo particolare nel Nord Italia.

La necessità di manodopera crea un nuovo fenomeno di emigrazione dalle regioni più povere del Sud Italia verso le regioni del Nord più sviluppate. Il processo di emigrazione quindi diventa un fenomeno interno alla nazione. Il Sud assiste ad un progressivo abbandono e il Nord vive un periodo di grande popolamento.

Le grandi ondate migratorie italiane

La prima fase comprende il periodo che va dal 1876 al 1900 quando il crollo dei prezzi degli alimenti colpisce il settore agricolo a causa di paesi come Francia e America che riescono a produrre a costi inferiori. Questa fase porta 5.300.000 di italiani ad emigrare verso l’estero. La prima ondata è caratterizzata soprattutto da un’immigrazione maschile ed individuale pari a circa l’81% del totale. La maggior parte degli immigrati provengono dall’Italia settentrionale.

La seconda ondata emigratoria va dal 1900 al 1914 e si conclude con l’inizio della Prima guerra Mondiale. Questa fase è causata dalla depressione del settore agricolo e favorita dallo sviluppo industriale. Al contrario della prima fase iniziano a spostarsi interi nuclei familiari. Raggiunti i nuovi paesi, i lavori maggiormente svolti sono nelle miniere, nella costruzione delle strade e delle ferrovie e in genere nell’edilizia.

La terza fase invece si svolge a cavallo tra le due guerre mondiali ed è numericamente ridotta rispetto le altre due ondante sia a causa delle restrizioni imposte da alcuni paesi sia per via delle politiche del fascismo che considerano disonorevole l’espatrio e promuovono un sentimento patriottico anche al fine di poter contare sui cittadini arruolabili per la leva militare.

Emigrazione italiana oggi, stiamo vivendo una nuova ondata?

Le ondate migratorie si concludono tra gli anni sessanta e settanta del secolo scorso, quando in Italia si assiste ad un miglioramento sostanziale delle condizioni di vita e inizia un periodo di grande fermento culturale e politico che vede protagonisti moltissimi giovani, linfa vitale di quel periodo storico.

Ma oggi stiamo vivendo una nuova ondata emigratoria? Sempre più connazionali, soprattutto del Mezzogiorno, sono diretti verso il Regno Unito, la Svizzera, il Belgio, la Francia e la Germania o altre destinazioni oltreoceano.

Sebbene l’ondata migratoria non sia paragonabile ai tre flussi storici, i numeri iniziano ad essere preoccupanti, come mostrano i dati Istat.

La fuga dei cervelli

Ad oggi i dati del rapporto della Fondazione Migrantes mostrano come l’espatrio interessi in modo preponderante i giovani italiani; in particolare la fascia di età compresa tra i 18 e i 34 anni contribuisce al fenomeno per il 40,6%. La percentuale si abbassa per i giovani adulti tra i 35-49 anni che rappresentano il 24,3% degli 83.490 giovani italiani che nel 2018 hanno lasciato il paese.

Se da un lato le percentuali degli over 35 che hanno lasciato il paese nel 2018 ha subito una contrazione, dall’alto lato il numero di giovanissimi che sono partiti nello stesso periodo è aumentato di +8,1% per la fascia di età 18- 34 anni; +8,2% per la fascia di età 10-14 anni e +5,5% per i minori di 10 anni che accompagnano i genitori verso un nuovo paese.
Se analizziamo i dati dal punto di vista del livello d’istruzione posseduto alla partenza, più della metà dei cittadini che si trasferiscono all’estero è in possesso di un titolo di studio medio alto.

Circa il 13,0% dei laureati nel 2018 ha partecipato ad un’esperienza di studio all’estero, generalmente in un paese europeo tramite il progetto Erasmus.

I flussi migratori trovano ragioni nella difficoltà del mercato del lavoro italiano. Inoltre, i processi di globalizzazione inducono sempre più giovani, soprattutto quanti hanno un elevato livello di istruzione a svolgere attività di ricerca o di formazione all’estero, sentendo questa esperienza come necessaria per un mondo del lavoro sempre più globalizzato e competitivo. I programmi di incentivo all’occupazione messi in atto del governo italiano, non sembrano essere sufficienti a trattenere i giovani e ciò comporta una preoccupante perdita di capitale umano indispensabile per la crescita del paese, porta ad un impoverimento generale e ad un invecchiamento della popolazione che vede sempre meno nascite, dovute anche alla massiccia fetta di donne in età fertile che espatria. Infatti le donne italiane iscritte all’AIRE nel 2019 sono 2.544.260. Senza contare che gli immigrati che restano in Italia sono pochissimi, infatti tra il 2012 e il 2017 circa 43.000 immigrati di seconda generazione, naturalizzati italiani hanno scelto di trasferirsi all’estero.

La fuga di cervelli investe maggiormente il Mezzogiorno, che subisce una doppia emigrazione, sia inerente agli spostamenti interregionali in crescita, sia riguardo gli spostamenti verso l’estero. Alcune regioni del Nord come Emilia-Romagna, Liguria e Lombardia sembrano riuscire ad arginare la fuga dei cervelli grazie ai movimenti interregionali benché la situazione complessiva dell’Italia non risulta essere positiva in questo senso.

Non solo fuga di cervelli ma anche manodopera tradizionale

Se i cervelli in fuga rappresentano una perdita di valore per il paese Italia non bisogna sottovalutare i giovani che emigrano alla ricerca anche di lavori non qualificati. Ne parla Maurizio Ambrosini, docente di sociologia dell’Università Statale di Milano, che spiega come l’immigrazione italiana non consiste solamente nella fuga di cervelli ma spesso i ragazzi lavorano come camerieri o operai in Germania o in Australia. A sostegno di questa tesi continua Ambrosini, c’è la possibilità in paesi come l’Australia di ottenere lavori riservati ai migranti con un basso grado di istruzione. Spesso anche gli italiani più qualificati accettano questo tipo di lavori all’estero perché meglio retribuiti rispetto al salario Italiano.

Storia ed evoluzione del lavoro degli italiani

Il lavoro nasce per una pratica esigenza: vivere. Per vivere è necessario mangiare e per mangiare, al giorno d’oggi servono soldi. La prima e più semplice forma di retribuzione consiste nello scambio dei beni, un lavoratore offre i suoi servizi e viene ricambiato con del cibo. Successivamente subentra il denaro che ci lascia l’opportunità di poter scegliere cosa fare con i frutti del proprio lavoro.

Le disparità in ambito lavorativo hanno radici lontane e ancora oggi secondo i dati forniti dal rapporto sull’economia dell’immigrazione, gli extracomunitari regolari In Italia svolgono quasi totalmente mansioni di media o bassa qualifica. Basti pensare che il 74,0% dei collaboratori domestici è straniero, il 51,0% dei venditori ambulanti è straniero e il 40,0% dei pescatori, pastori e boscaioli sono stranieri.

È interessante vedere le differenze in ambito lavorativo tra gli immigrati in Italia oggi e i lavori che svolgevano storicamente gli emigrati italiani all’estero. Intorno alla fine dell’Ottocento gli italiani emigrati in America ricoprivano ruoli nell’agricoltura, nell’ edilizia come muratori, marinai di basso grado, pescatori, garzoni, cuochi, suonatori di organetto e più raramente commercianti.

Nell’aprile del 1900 il giornale La Domenica del Corriere pubblica un articolo sulla comunità italiana emigrata a Londra. L’articolo mette in luce la situazione di degrado in cui vivono gli italiani nella città inglesi e descrive la vita di oltre 2500 venditori ambulanti che ogni mattina si recano in centro città per vendere la loro merce come castagne arrosto o gelati.

Ma ci sono anche esempi di italiani più fortunati, che partendo da umili commercianti riescono a scalare i vertici di aziende nel ramo industriale o ad assumere ruoli di rilievo.

Da questo momento e grazie a queste figure gli italiani iniziano ad essere sempre più apprezzati all’estero.

È facile dunque trovare parallelismi tra la situazione di disagio che vissero i nostri antenati costretti ad emigrare in paesi più ricchi e quella che oggi si trovano a fronteggiare molti immigrati che arrivano nel nostro paese. Sono persone in cerca di fortuna, con i loro sogni, affascinati da un mondo che nella realtà spesso non si presenta come lo immaginano. I migranti di ieri e di oggi per la maggior parte passano tutta la vita ricoprendo mansioni umili e spesso trainano il prodotto interno del paese nel quale approdano. Le difficoltà di intraprendere una scalata sociale sono evidenti e presenti in tutto il mondo tuttavia non mancano casi di storie di successo e di personalità che sono uscite ad emergere da condizioni di grave disagio. Troppo spesso si dimentica che le difficoltà incontrate dai nostri connazionali nel periodo dei flussi migratori sono le stesse che oggi sopportano gli immigrati nel nostro paese.

Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia

Se si rivolge uno sguardo alla situazione degli immigrati nel nostro paese si nota come molti problemi in ambito di integrazione persistano ancora oggi. È quanto emerge dal IX Rapporto governativo annuale “Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia”, a cura della Direzione Generale dell’Immigrazione e delle politiche di integrazione. Il Rapporto descrive come il lavoro sia un importante mezzo di integrazione non solo nella sfera socioeconomica ma comprende una dimensione ampia fatta di relazioni, confronto e senso di appartenenza.

L’inserimento lavorativo dei migranti risulta fondamentale in ogni nazione del mondo soprattutto in Italia che nel 2018 ha avuto più emigrati che immigrati. Per i paesi industrializzati l’immigrazione accompagnata dall’integrazione risulta essere una risorsa importante, soprattutto per l’Italia che registra un tasso di anzianità tra i più alti al mondo. In Italia ci sono 5,4 milioni di immigrati che equivalgono all’ 8,5% della popolazione, in più è presente una quota quantificabile intorno all’1% della popolazione composta da residenti irregolari. Questi dati classificano l’Italia solo all’undicesimo posto tra gli Stati europei per la presenza di migranti in termini percentuali e ben distante da altri stati come Svizzera, Austria, Belgio e Regno Unito. L’Italia si distanzia, invece, dagli altri paesi per la quota ridotta di residenti di seconda generazione. Il dato relativo ai figli degli immigrati in Italia è molto basso (0,4% della popolazione residente) se paragonato ai dati degli altri paesi dell’Unione Europea (3,4%).

I migranti in Italia sono disoccupati nella stessa percentuale degli italiani questo perché nonostante siano meno richiesti, sono tuttavia disposti ad accettare anche i lavori meno qualificanti e più pesanti pur di riuscire a mantenersi nel paese.

Il Rapporto governativo italiano riporta che il 70% degli immigrati regolari in Italia è un lavoratore attivo e il 90% ha un lavoro da dipendente. I lavori più diffusi che i migranti accettano di fare in Italia sono: l’operaio in aziende manifatturiere del Nord, il bracciante, il lavoratore domestico, il commerciante e le classiche occupazioni stagionali del settore terziario e turistico. Nel caso delle costruzioni la forza lavoro straniera risulta essere del 20%.

In Italia tuttavia esiste più che in Europa il fenomeno del caporalato che consiste nello sfruttamento lavorativo delle persone povere e spesso coinvolge gli immigrati senza un regolare permesso di soggiorno. Questo fenomeno è soprattutto diffuso nel Sud Italia e rappresenta una piaga sociale su cui di recente il Governo ha iniziato a porre attenzione, grazie anche all’attuale Ministro dell’agricoltura Bellanova.

Le migrazioni nella storia dell’umanità hanno da sempre rappresentato un motivo di incontro tra culture diverse e hanno, da sempre allargato i confini del mondo ma al contempo chi lascia la propria patria lascia un pezzo di sé stesso.

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